È certamente la stanza più importante tra quelle affrescate da Raffaello. In origine essa era destinata a servire da studio e biblioteca di Papa Giulio II, ed è stata interamente affrescata dal pittore urbinate.
Il tema iconografico è di carattere teologico-filosofico e mira ad affermare le categorie neoplatoniche del Vero, del Bene e del Bello.
Questi gli affreschi alle pareti:
Il tema iconografico è di carattere teologico-filosofico e mira ad affermare le categorie neoplatoniche del Vero, del Bene e del Bello.
Questi gli affreschi alle pareti:
- Disputa del Sacramento
- Scuola di Atene
- Parnaso
- Le Virtù Cardinali e Teologali, e la Legge, rappresentata da Gregorio IX riceve le Decretali (legge canonica) e Triboniano consegna a Giustiniano le Pandette (legge civile). Quest'ultimo affresco fu eseguito da Lorenzo Lotto su disegni di Raffaello.
Oltre alle pareti, Raffaello ha dipinto la volta. In essa vi sono: quattro medaglioni raffiguranti la Teologia, la Filosofia, la Giustizia e la Poesia; quattro riquadri raffiguranti: Adamo ed Eva, il Primo Moto, il Giudizio di Salomone, Apollo e Marsia.
Sui battenti della porta della stanza (realizzata probabilmente dall'allievo di Raffaello Giovanni da Udine), è invece raffigurato l'elefante Annone, un animale esotico molto celebre all'epoca donato a Leone X dal re del Portogallo, e che venne immortalato da Giulio Romano in un affresco in Vaticano (ora perduto).
Sui battenti della porta della stanza (realizzata probabilmente dall'allievo di Raffaello Giovanni da Udine), è invece raffigurato l'elefante Annone, un animale esotico molto celebre all'epoca donato a Leone X dal re del Portogallo, e che venne immortalato da Giulio Romano in un affresco in Vaticano (ora perduto).
Pochi cicli della pittura sono stati forse altrettanto indagati e discussi a fondo quanto le Stanze di papa Giulio, assolutamente dense di simboli e significati. Su parecchie interpretazioni e ipotesi, gli storici dell'arte -è bene dirlo subito -spesso non si sono trovati d'accordo e dunque non tutto è certo. Sicuro è che la prima Stanza con cui Raffaello si cimenta è quella della Segnatura; sicuro che ne affresca la volta e quindi le mura perimetrali; sicuro che la Scuola d'Atene e la Disputa del Sacramento precedono le altre pareti, quella del Parnaso e quella della Giustizia, da altri chiamata delle Virtù. Verosimile, ma confutato da alcuni tra cui anche il celebre André Chastel, che la Stanza della Segnatura ospitasse dapprima la biblioteca di Giulio II, il quale, spiega Pietro Bembo nel 1513, ne voleva una personale, da affiancare a quella Vaticana, semi-pubblica. Siamo negli ultimi mesi del 1508: ad aprile, Raffaello è ancora a Firenze; lo comprovano una lettera del 21 aprile allo zio Simone Ciarla, e la data sulla Madonna col Bambino (Washington, National Gallery), detta Grande Madonna Cowper o Madonna Nicolini, dalla raccolta fiorentina in cui era fino al 1780. II 13 gennaio 1509 il Sanzio beneficia invece del primo pagamento vaticano, "ad bonum computum picturae camerae": un anticipo per le Stanze. Dalla Lombardia e dal Centro Italia, papa Della Rovere aveva già convocato importanti pittori: Perugino, Sodoma, Bramantino, Peruzzi e Lotto. Da qualche mandato del tesoriere, sappiamo che alcuni di costoro s'erano perfino già messi al lavoro. Èprobabile che Bramante, ormai architetto ufficiale di Giulio II, abbia suggerito il nome del suo giovane concittadino, e che, con l'assenso papale, l'abbia fatto venire da Firenze. A Raffaello viene chiesta una sorta di prova: probabilmente s'impegna già nella Scuola d'Atene. Questo primo assaggio della sua arte convince tanto il Papa da farlo rinunciare a chi aveva già assoldato; anzi -ci dice il Vasari che, giovane pittore, nel 1531 era in Vaticano proprio per copiare il Sanzio e Michelangelo -dà ordine di "buttare a terra tutte le storie": cancellare gli affreschi eseguiti o in lavorazione, e anche quelli precedenti, perfino l'opera di un "grande" come Piero della Francesca. Alla Segnatura, Raffaello lavora fino al 1511: conclude l'opera, e ne scrive la data nell'intradosso tra due finestre. Nell'agosto di quell'anno, Michelangelo scopre una parte della volta nella vicina Sistina: a luglio, Raffaello lavora già alla Stanza d'Eliodoro; tuttavia è probabile che, prima del Papa e della Corte, abbia visto da vicino il lavoro del Buonarroti. E del quale, negli affreschi della prima Stanza vi sono almeno un paio di echi diretti: la figura al centro della Scuola d'Atene, poggiata in primo piano a un masso squadrato, che nel progetto originale era assente ed è stata aggiunta a lavoro ultimato; nonché, nella Disputa, un vecchio a destra, barbuto e con la veste gialla ed azzurra, davvero "michelangiolesco". Ancora Vasari ci dice che Raffaello muta il modo di dipingere, e parecchio, proprio sotto l'influenza di Michelangelo. La decorazione della prima Stanza è ripartita in tredici scomparti da cornici e "grottesche" (così chiamate perché tratte da tipi rilevati nei sotterranei della Domus Aurea di Nerone). È assolutamente unitaria e coerente, ma non per questo meno complessa. Nella volta compaiono quattro soggetti incorniciati in tondo: le personificazioni di Teologia, Filosofia, Giurisprudenza e Poesia; agli angoli, in quattro scomparti rettangolari, Adamo ed Eva, il Giudizio di Salomone, l'Astronomia, Apollo e Marsia. Sulle quattro pareti, sotto la Filosofia (quindi in corrispondenza con lei), la Scuola d'Atene, cioè una riunione di filosofi; sotto la Teologia, la Disputa del Sacramento, cioè una riunione di teologi; sotto la Giurisprudenza, la Giustizia; sotto la Poesia, il Parnaso. Già in questo, oltre che nel fatto che dal locale fosse stato rimosso un preesistente caminetto, qualcuno ha visto la conferma della destinazione d'uso dell'ambiente: i dipinti, infatti, costituiscono quasi una sorta di rubriche d'un immaginario catalogo di biblioteca; nel Parnaso, poi, i poeti sono divisi per genere; nella Scuola d'Atene lo sono i filosofi, con al centro la ripartizione tra Aristotele e Platone; la Giustizia è scissa in Diritto canonico, con alcuni esponenti della Curia di papa Giulio, e in Diritto naturale; infine, nella Disputa un posto d'onore spetta a San Lorenzo: protettore proprio delle biblioteche. Le Stanze sono decorate "ad prescriptum Julii": secondo i dettami del Pontefice; ma chi sia il teologo che suggerisce a Raffaello il "pianò dell'opera" -autentico speculum
doctrinae -o comunque con lui almeno collabori, invece non si sa. Per Francesco De Sanctis, questo è "il poema della cultura, di così larghe proporzioni come il Paradiso di Dante, aggiuntovi il Limbo".
Nella Stanza della Segnatura, i quattro archi finti che simulano un'architettura
seguono ancora lo schema decorativo antecedente opera del Perugino, mentre la cornice ornamentale è opera del Sodoma; a proposito d'architettura, quella ritratta nel dipinto della Scuola d'Atene, annotava Lionello Venturi, "non è né greca né romana: è quella dell'amico Bramante". Forse per la prima volta nella storia della pittura, di queste composizioni si conservano, in misura ragguardevole, anche disegni, cartoni, incisioni dai progetti originari perduti: per la Disputa, importanti quelli di Windsor, Oxford, Digione, Chantilly; per la Scuola d'Atene, a Milano esiste perfino il cartone. E cominciamo proprio dalla Scuola d'Atene, che "celebra la ricerca razionale del vero". In un edificio (bramantesco) di forme e grandiosità solenni, s'affollano i filosofi e i saggi dell'antichità. Entro nicchie, le sta· tue di Apollo e Minerva; altre nicchie di scorcio; in due medaglioni, un uomo che alza gli occhi da un libro e una donna che posa il braccio sul mappamondo. Al centro, in cima alla scalinata che i filosofi sembrano salire, Aristotele e Platone; attorno, tanti altri: subito alla sinistra Socrate, poi Senofonte, Alcibiade, Zenone, Epicuro, Pitagora, Averroè; in primo piano, al centro forse Eraclito con il gomito appoggiato; Diogene sdraiato sulla scalinata; Euclide con un compasso. All'estrema destra, lo stesso Raffaello, e un compagno rimasto sconosciuto. Non solo: nei personaggi, qualcuno identifica alcuni famosi contemporanei; Platone sarebbe Leonardo, Euclide il Bramante, il fanciullo alla spalle di Epicuro Federico Gonzaga; un altro giovane sarebbe Francesco Maria Della Rovere, Zoroastro forse Pietro Bembo. L'affresco della Scuola d'Atene è abbastanza simile all'origiriale progetto; ma, nella versione definitiva, al centro della composizione, Raffaello "guadagna" due metri quadrati, creando l'effetto di veri gradini di una scala, e colma lo spazio vuoto con una pietra dipinta (che sembra quasi rendere più difficoltosa la salita della scala, cioè l'ascesa alla verità) e con una nuova figura seduta, il gomito sinistro appoggiato al blocco marmoreo. La dipinge sull'intonaco nuovo, a composizione ultimata: chi pensa quasi per rivaleggiare con i grandiosi Profeti e Sibille che Michelangelo aveva appena dipinto nella Sistina; chi invece vede in questo nuovo soggetto Eraclito, con le fattezze dello stesso Buonarroti e ritratto secondo il suo stile, quasi un omaggio all'artista, di otto anni più anziano, che in quei giorni lavorava proprio nello stesso palazzo. Diverso invece dai primitivi progetti è l'affresco altrettanto immenso, sette metri e 70 centimetri di base, che fronteggia la Scuola d'Atene, e cioè la Disputa del Sacramento: nella versione originale mancano l'altare al centro e la scala, i teologi sono seduti a terra, su pietre; in uno dei modelli, il Cristo è previsto in un'aureola, sopra il globo luminoso di Dio Padre, e con la Colomba dello Spirito Santo accanto; le statue dipinte sulle due pareti interne della Scuola d'Atene corrispondono, nei primi progetti della Disputa, agli Apostoli e agli Evangelisti seduti su nubi all'altezza della trabeazione del portico. In alto, accanto alle tre figure centrali del Cristo, con la Vergine e il Battista, sono San Pietro con Adamo, San Giovanni, Davide, i Santi Stefano e Geremia e, a destra, Giuda Maccabeo, San Lorenzo, Mosè, San Matteo, Abramo, San Paolo. Un personaggio del Nuovo Testamento intervallato da uno dell'Antico. E, sotto loro, ai lati dell'altare, una folla di visi, nomi e personaggi noti. Il Beato Angelico nel suo abito da domenicano; Bramante poggiato alla balaustra; Francesco Maria Della Rovere che addita l'altare; i Santi Gerolamo, Ambrogio, Tommaso e Bonaventura; alcuni Pontefici precedenti, da Innocenzo III a Sisto V (alle cui spalle è Dante e, non lontano, il Savonarola); San Gregorio Magno ha le sembianze di Papa Giulio. In secondo piano, sulla destra il famoso basamento di un pilastro, interpretato come un riferimento ai lavori in corso nella Basilica di San Pietro; a sinistra, invece, un lontano cantiere con impalcature e ponteggi: l'edificazione dei nuovi Palazzi Vaticani o, invece, della "Città di Dio"? Struttura e "invenzione" del dipinto sono formalmente assai semplici, manifestano con efficacia la Civitas Dei, in un tripudio di angeli e nuvole, alla presenza dei Padri fondatori -antichi e più recenti, divini e umani -della Chiesa. A questo, tuttavia, Raffaello perviene dopo non poche tribolazioni e difficoltà, per stadi successivi, come i lavori preparatori ci dimostrano. E anche questo costituisce esempio di rara grandezza. Le altre due pareti sono di minor estensione (una base di circa sei metri e mezzo), anche perché la loro superficie è ridotta, nel centro, da grandi finestroni: il Parnaso e la Giustizia seguono nel tempo i due affreschi maggiori. Nel Pamaso, Apollo è attorniato dalle Muse e da 18 poeti, tra cui Petrarca, Saffo, Omero, Dante e Virgilio, Boccaccio e l'Ariosto, eccetera.
Rispetto al modello originale, qui mutano gli strumenti: Raffaello ne deriva i modelli da un sarcofago romano, oggi al Museo delle Terme; nella stesura originaria, Apollo pizzicava una cetra qualunque, quasi di fantasia; nella realizzazione definitiva, invece, una lira a nove corde. Sotto il Pamaso, due affreschi di dimensioni più ridotte e forse nemmeno del tutto autografe (qualcuno pensa a Perin del Vaga), con Augusto che impedisce di bruciare l'Eneide e Alessandro il grande che fa deporre i libri d'Omero nella tomba d'Achille: dipinti a monocromo, un solo colore, forse realizzati a Stanza quasi completata. Nell'ultima parete, infine, la Giustizia: una lunetta più piccola della sua dirimpettaia, con sotto altri due dipinti di minor estensione, Triboniano consegna le Pandette a Giustiniano e Gregorio IX approva i decreti. Il tema della parete è la pienezza della potestà del Papa, che rende conto solo a Dio; e la faccenda ha un suo legame storico. Nella primavera del 1511, il "Papa guerriero", detto anche "Papa terribile", è tornato da Bologna, al termine dell'ennesima, ma stavolta sfortunata, impresa militare.
L'anno prima, a Pisa era stato convocato, ma certo non da lui, un Concilio, appoggiato dal re di Francia Luigi XII, grande nemico di Papa Giulio. Il Concilio aveva autorizzato la deposizione del Pontefice, ma era poi stato dichiarato illegittimo dai giuristi della Curia. Appunto: la piena potestà del Papa. Anche in questa parete è effigiato Giulio II. Tre figure femminili sedute sullo zoccolo di base: la Forza (con un ramo di rovere che allude al casato papale), la Prudenza, la Temperanza, e su tutte domina la Giustizia; mentre sotto la lunetta, nei panni di Gregorio IX ecco il Papa. Con una curiosità: in un primo progetto, vi compare senza barba, inginocchiato a terra, il capo scoperto e le mani supplici al cielo; evidentemente, lo studio precede il 1511, quando il Papa si lascia crescere la barba, che non raderà più. Qualche parola ancora su questa prima Stanza: la parte inferiore, originariamente, era uno zoccolo di legno, come al Cambio di Perugia e nello studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino; ne fu esecutore fra Giovanni da Verona. Soltanto con Paolo 1II Farnese (tra il 1543 e il 1549) fu sostituito dai chiaroscuri di Perin del Vaga, che pure aveva collaborato già con Raffaello. In questo qualcuno ha voluto vedere il mutamento di destinazione della Stanza: alla morte di papa Giulio, forse Raffaello stesso modifica anche il locale; la biblioteca viene smembrata; gli scaffali diventano superflui e anzi sgradevoli; nasce dapprima il basamento !igneo, poi sostituito dagli attuali affreschi en grisaille, forse anche perché nella sala torna l'antico caminetto; l'ambiente forse diventa lo studio di Leone X. Ma ormai siamo già al tempo della seconda Stanza di Raffaello, quella di Eliodoro, che attraverso uno stretto passaggio comunicava con l'anticamera e la stanza da Ietto del Papa e che, secondo alcuni, di tutte sarebbe la più bella.
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